Sembrerò monotematico ai miei amici, ma un’altra stagione di rugby è passata e mi serve fare il punto della situazione, perché è facile dire quanto sia bello il rugby durante un terzo tempo ma una stagione porta con sé anche molto altro. Infortuni, discussioni, gestioni familiari e lavorative che per uno come me, e molti altri insieme a me che nella vita fanno tutt’altro, non è così semplice da gestire come possa sembrare.
Alti e bassi dovuti a mille motivi diversi si sono scontrati ogni benedetto mercoledì a favore o contro l’inviolabile allenamento delle ore 20:00. É stata dura per me, inutile nasconderlo.
Molti miei compagni non hanno saltato un allenamento in tutta la stagione, a prescindere dagli infortuni e dagli impegni. Uno per tutti (e sono molti), Massy, l’allenatore, che prima di tutto è una gran bella persona oltre che preparata e competente e in più ha saputo dare per primo l’esempio a tutti.
Ed è così che vecchi e nuovi arrivati hanno riconosciuto in lui una figura da seguire e da ascoltare. Coglione come tutti gli altri durante i terzi tempi e negli spogliatoi, in campo, che fossero allenamenti o partite, abbiamo sempre avuto grande fiducia e rispetto nei suoi confronti, perché è esattamente quello che lui ha sempre dato a noi.
In questa nostra terza stagione abbiamo imparato a stare in campo, abbiamo imparato il valore del gruppo e qualche fondamentale ha iniziato, forse, a far breccia qua e là nelle nostre zucche piloniche.
Sul campo abbiamo vinto, perso e pareggiato ma la cosa più bella è stata quella di esserci. Giocando o stando in panchina poco importa, il gruppo è sempre stato uno solo e questo, lasciatemelo dire, è un grandissimo risultato!
Sarà banale, ma alla soglia dei quarantasei anni mi accorgo che sono queste le cose che voglio passare ai miei figli. Ho un ricordo bellissimo di mio padre che preparava la Maleo-Lourdes in bicicletta con una decina di amici. 1.100 km senza cellulari e Trip Advisor, le discussioni per la lunghezza delle tappe, le soste volanti e l’albergo da prenotare, davanti ad una (per volta) bottiglia di rosso e un salame piacentino.
Non spiego molto ai miei figli, (come si fa a spiegare un’emozione?) il mio scopo è quello di fargli vedere che loro padre vive questi valori, fatti di sacrificio, di allenamenti, ma anche di divertimento e di amicizia. Non so se giocheranno mai a rugby, almeno per ora sembrano poco interessati, ma m’importa poco. Anch’io non ho mai messo il sedere su una bici da corsa ma il messaggio di mio padre mi è arrivato comunque forte e chiaro.
La festa di fine stagione l’abbiamo fatta al Cornello. Due giorni, una scuderia in mezzo alle valli bergamasche, una griglia, tanti amici e tanto sano divertimento. Con i miei figli siamo riusciti a perdere 2 felpe, un costume e un caricatore del cellulare. Però ci siamo divertiti di brutto.
Uno dei due, durante il rientro a casa, mi ha detto “Adesso capisco perché ti piace così tanto giocare nei Lovers, sono tutti matti come te”.
Non ho risposto, ho solo sorriso e ripensato a quando dicevo a mio papà “Siete matti ad andare a Lourdes in bici!!”